Esattamente due anni fa, il 31 dicembre 2019, la Cina comunicava la diffusione di un “cluster” polmoniti atipiche di origine virale. L’8 marzo viene decretato in Italia il lockdown nazionale.
Da allora ogni giorno il bollettino Covid scandisce la nostra vita con morti, ricoverati, guariti, contagiati. Termini che sono ormai entrati nel nostro lessico quotidiano.
Sembrava che la pandemia si fosse attenuata, quando il dato più drammatico quello di morti e delle terapie intensive è cominciato a risalire. Certo i numeri sui decessi che oggi ci vengono forniti, possono anche sembrare pochi (in totale i morti per Covid sono oltre 138 mila) ma se invece del numero assoluto prendiamo l’andamento grafico, vediamo per tutti gli indici (contagiati, terapie intensive, ecc.) una forte impennata negli ultimi giorni, nonostante i tantissimi vaccinati. Resiste purtroppo una parte di popolazione italiana che non vuole vaccinarsi ed è purtroppo su questa che si fa sentire il peso negativo delle morti e delle terapie intensive.
Con l’aggravarsi della pandemia l’immediato riflesso è sugli ospedali che nuovamente stanno entrando in sofferenza sia per mancanza di posti letto che per assenza di operatori sanitari a loro volta colpiti dal covid.
Nella fase più acuta della pandemia, lo scorso anno, alcuni ospedali sono stati trasformati d’urgenza in spoke covid, per poi una volta superata la fase di emergenza, ritornare alla loro funzione di ospedali generali.
Tra questi l’ospedale del territorio prenestino di Palestrina “Coniugi Bernardini” ha subito lo scorso anno un percorso che lo ha visto trasformarsi in ospedale spoke covid per poi ritornare alla propria normalità, e come era stato annunciato dalla struttura regionale, con un potenziamento nelle strutture, nuovi reparti (la subintensiva) e certamente con una maggiore professionalità da parte di medici e operatori sanitari. Ai quali non basterà mai il nostro riconoscimento per la dedizione e anche il sacrificio non solo personale, ma anche in vite umane, di cui sono stati capaci in questi due anni.
Non è il migliore dei mondi possibili, ma certo qualcosa in più. E non è certo con il piantare bandiere identitarie, pro o contro l’ospedale, che si possono risolvere i gravi problemi della sanità italiana. Una sanità, è bene ricordarlo, che nonostante storture e ritardi, è pur sempre all’avanguardia nelle cure e, non dimentichiamolo mai, che garantisce a tutti e tutte le cure mediche. Lo scorso anno abbiamo visto politici che come dilettanti allo sbaraglio invece di unire una comunità, pur di piantare bandierine, hanno creato tensione fra i cittadini e fra l’istituzione locale e quella regionale.
Oggi con una situazione che nuovamente volge al peggio, soprattutto per la pressione sugli ospedali, si nota un silenzio sia delle istituzioni che delle forze politiche di maggioranza e minoranza, e se non ci fosse stata una presa di posizione sia di alcune associazioni di cittadini e medici di base che della sezione di Palestrina del Partito Socialista Italiano, tutto sarebbe passato sotto silenzio (sebbene, al momento in cui scrivo 11 gennaio, sono 458 i cittadini di Palestrina attualmente positivi al Covid-19 che si trovano in isolamento domiciliare).
Ora con il rinnovato aggravarsi la struttura regionale della sanità del Lazio ha comunicato il 5 gennaio “una nuova configurazione della rete Covid-19:
• Ospedale Civile Coniugi Bernardini di Palestrina 70 posti letto di area medica; sospensione dell’attività di Pronto Soccorso Generale
• Ospedale S. Giovanni Evangelista di Tivoli 10 posti letto di terapia semintensiva.
Al di là di considerazioni di natura organizzativa medica, che spetta certamente agli organi dell’ospedale e per quanto attiene al personale medico e non alle rispettive rappresentanze sindacali, occorre che le forze politiche e sociali, non solo di Palestrina ma anche dei paesi limitrofi, si interroghino sul ruolo e funzione di un ospedale che ha dimostrato in questa fase di pandemia e non solo un alto livello di competenza e professionalità.
Bisogna evitare che “liti tra comari”, in questo caso fra maggioranza e opposizione, e anche dentro le stesse forze politiche, producano effetti negativi sui cittadini, alimentando ancora di più quel “disgusto populista” che poi ritroviamo al momento delle elezioni con il forte tasso di assenteismo. Cerchiamo di dare un senso a quel tanto sbandierato, lo scorso anno, “andrà tutto bene”, dando una dimostrazione di unità. Si dice che l’unione faccia la forza e mai come in questo periodo l’unione diviene un bene primario da perseguire.
Per una volta cerchiamo di rimanere uniti come comunità, nel rispetto sia dei tanti malati covid sia dei tanti che purtroppo, proprio a causa del covid indirettamente subiranno disagi, che certo non sono tollerabili e per i quali occorrerebbe che le decisioni che impattano sulla cittadinanza vengano prese di concerto, ma questo dovrebbe valere per tutto, ascoltando le realtà locali e gli interessi rappresentati. Poi certo spetta ai responsabili regionali, da cui dipende la gestione sanitaria, prendere le opportune decisioni tenendo sempre presente che la salute è un bene pubblico da salvaguardare.
Certo è che i problemi che questa pandemia ha sollevato restano purtroppo tutti davanti a noi. Assistenza, territorialità, costo dei farmaci (a cui ora si aggiunge quello dei tamponi), strutture vecchie e spesso fatiscenti. Ora tutti noi cittadini dobbiamo sperare che le risorse che verranno messe in campo con il PNRR possano “rivoluzionare” il nostro sistema sanitario, che, nonostante le tante storture, resta pur sempre un sistema universale e a carico dello Stato.
Ma perché questo sia sostenibile, resiliente ed equo non può prescindere dalla necessità di ripensare i servizi e i processi rendendoli efficaci ed efficienti, sempre tenendo presente che il servizio sanitario è un bene comune della collettività e che deve rispondere alle esigenze di chi vi opera ma soprattutto degli utenti, che non vanno visti come “clienti” ma cittadini in un particolare momento di fragilità.
La missione 6 del PNRR, dedicato alla salute, prevede per il quinquennio 2021-2026 investimenti per 7 miliardi di euro per lo sviluppo delle reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e 8,63 miliardi per l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, con una attenzione particolare sul Fascicolo Sanitario Elettronico.
Il Servizio Sanitario Nazionale (compresi i servizi sociosanitari residenziali, diurni e ambulatoriali) è un presidio della tutela della salute universale e come tale deve essere in grado di rispondere alla “normalità” ma anche e in modo particolare alle situazioni di emergenza che sempre più spesso finiscono per colpire i cittadini più deboli e indifesi.