Paolo Milone ha lavorato per quarant’anni in Psichiatria d’urgenza, dove la malattia mentale convive con lo smarrimento e la meraviglia di chi, tolto il camice, torna alle faccende quotidiane.
L’arte di legare le persone è un’opera letteraria che nasconde molteplici sfaccettature che vanno al di là della trama che, sin dal titolo, trascende le ideologie, sollevando questioni enormi.
Protagonista narrante è l’autore, il quale raccoglie frammenti di vita, pensieri in versi liberi: ogni ricorso alla memoria è un naufragare in questa sconfinata identità dell’essere umano. Paolo Milone accompagna i pazienti nell’abisso e si lascia raccontare cosa vede, affonda lo sguardo nella follia correndo il rischio di lasciarsi contagiare. Così ci ritroviamo a seguirlo nei corridoi del Reparto 77, tra i vicoli di Genova, fin dentro le case dei pazienti. Entriamo nel dolore degli altri, impermeabile e apparentemente insensato, raccontato con una sincerità a volte disarmante: ricordi e riflessioni si fondono sulla pagina per dar vita a una confessione nella quale non mancano aneddoti dolorosi. Da una parte i comportamenti disturbati di origini disparate: dall’abuso di sostanze al tentativo di suicidio, dal comportamento violento alla crisi psicotica; dall’altra uomini e donne investiti della responsabilità di scegliere la strategia da adottare.
In questi versi dal sapore poetico e dal tono narrativo, la voce dei personaggi è sfumata in quella del medico-narratore, il quale riporta i dubbi e i pensieri che lo hanno attraversato nel tempo e che, probabilmente, non hanno mai smesso di interrogarlo.
Tra parole e cose esiste una distanza che è sempre più difficile colmare: le prime sembrano insufficienti, le seconde inarrivabili alla loro essenza. Nella ricerca di una reale corrispondenza ai valori profondi, si sperperano le une, si perdono le altre. Paolo Milone sceglie l’economia della narrazione, per catturare i fragili e fuggenti aspetti della vita. Se alcune parole lasciano il segno, altre (o le stesse) diventano simboli. Come “legare”, inteso come l’atto sanitario di limitare i movimenti di un paziente in preda a una crisi psicotica acuta; ma anche come l’atto di avvolgere un corpo, per garantire l’unione di tutti i pezzi in cui può sgretolarsi una persona ferita.